L’uomo può comunicare in modo naturale solamente se si trova a distanza ravvicinata, mediante la parola, altrimenti se le distanze sono maggiori, la comunicazione deve per forza essere veicolata, ed in parte guidata, da dispositivi esterni.
Sotto questo aspetto le macchine ci hanno già superato, poiché sono in grado di stabilire “contatti” (non si può parlare di comunicazione effettiva) in qualsiasi momento e a qualsiasi distanza.
Chissà che presto non arriveremo al punto in cui anche gli uomini comunicheranno fra loro, come le macchine, senza dover necessariamente usare alcun dispositivo che faccia da mediatore.
Stiamo infatti entrando nell’epoca delle interfacce neurali, sin qui studiate soprattutto in ambito medico per aiutare soggetti afflitti da particolari disabilità.
Uno scenario intrigante e al tempo stesso terribile, a giudicare dalla rapidità con cui le tecnologie si sono sviluppate, diffuse e imposte in tutto il mondo negli ultimi anni. Proviamo a ricordare che l’iPhone, che oggi diamo per scontato, è stato presentato soltanto 10 anni fa e ad oggi, sembra passato un secolo. Eppure le nostre vite sono condizionate da questo tipo di tecnologie.
Nel frattempo utilizziamo smartphone e tablet per fare cose che fino a pochissimi anni fa richiedevano la nostra presenza fisica impiegando molto tempo; guardiamo film, ascoltiamo musica, usiamo applicazioni di ogni genere sfruttando la tecnologia e sistemi in essa inglobati (Cloud, memorie interne espandibili, App) e non ne possiamo fare più a meno.
Sono questi oggetti ad attrarci o quello che ci permettono di fare? Non solo dunque hanno migliorato la comunicazione ma anche le attività amministrative e di commercio aziendali.
Ecco la chiave del problema, anche in termini etici: l’uomo avrà sempre il desiderio impagabile di migliorare per fare di meglio e con meno fatica e rischio.
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